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sabato 22 giugno 2013

il male del biogas

                       

                                  Quale pesante eredità stiamo lasciando ai nostri figli in nome del progresso e del consumismo?


il male del biogas

È un male italiano: o forse è proprio una di quelle debolezze umane, di quei limiti contro i quali lottare quotidianamente. È la perpetrata volontà di fare il male, anche e spesso, passando dal bene.
Il riferimento specifico è alla questione degli impianti a biogas (e le biomasse), che si sta dipanando davanti i nostri occhi con una certa insistenza. Perché il biogas è un bene, se applicato nei contesti corretti, ma diventa un male, pessimo esempio di infima speculazione, in altri situazioni.Produrre più, per spreco volontario, senza necessità umana. Intere quantità di messi mandate al macero, semplicemente perché è così che si guadagna soldi. Tutto l'opposto della sovranità alimentare, concetto profondo quanto estremamente importante in questi periodi. Ma qui si anche apre un'altra serie di problematiche correlate, che rendono la questione ancora più spinosa. Perché con la scusa che quel mais (o quant'altro) non è destinato al consumo, né umano né animale, si punta alla resa: più prodotto c’è, più biomassa si crea, più energia si produce, più soldi entrano in tasca. E per arrivare all'obiettivo, si fa ampio uso di fertilizzanti e pesticidi: prodotti che andranno a fissarsi sul suolo o ancora peggio, penetreranno in profondità inquinando le falde acquifere. E dunque, il fine ecologico non solo viene confutato dall'uso, ma addirittura è alterato negativamente, producendo un ulteriore inquinamento.

Le problematiche non finiscono qui, perché a questo si aggiunge la snaturalizzazione del territorio. Sia per l’intensità colturale e per le densità, sia per le colture in sé, spesso disintegrate dai contesti agricoli circostanti. D'altronde, se l’obiettivo è produrre, non si può pensare se la produzione è idonea o meno: si deve andare e macinare, mais e soldi allo stesso ritmo. Campagne alterate da macchie colturali disomogenee con il resto del coltivato. Poco importa, anche perché poi, quelle compagne saranno ancora più alterate, dall'impianto in sé. Ecomostri piazzato in mezzo al verde – di solito è così – senza che il prezzo di tale scelta urbanistica possa corrispondere ad un reale beneficio. Perché vero che si chiuderebbe un occhio davanti alla necessità prioritaria della comunità – per dire: serve smaltire i rifiuti, e per farlo serve un certo tipo di struttura, impattante sì ma necessaria per il bene di tutti. Invece no: in questo caso, il bene sta solo nel portafoglio dell’investitore. Impianti, che per di più, hanno durata limitata e che devono essere necessariamente ammodernati, rappresentando un spesa, che molto probabilmente – anche a fronte di un ritocco al ribasso delle tariffe di guadagno che sta già avvenendo – potrebbe non essere sostenibile, o meglio potrebbe non rientrare più nell'interesse di chi ha investito. Perché la speculazione è così che va: senza guardare indietro. La domanda, allora, diventerebbe: come rivalorizzare il valorizzatore? Cosa farne di quegli enormi edifici di cemento armato in mezzo alla campagna, una volta dismessi. Perché quando finiranno i soldi – quelli profumati, quelli facili, quelli del guadagno ampio – gli interessi si sposteranno altrove, senza portarsi dietro certe pesanti strutture. Resterà invece, un territorio deturpato da colture non funzionali alle richieste della popolazione, da reti infrastrutturali non fruite e sovrabbondanti.
E. R. e D. B.

Petizione Contro il Biogas di Bracciano

http://firmiamo.it/petizione-contro-il-biogas-di-bracciano#petition

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